Roma, in coda per 2 giorni al Tribunale per la moglie invalida

ppIl nostro lettore Enrico Scifoni, 83 anni, ci ha scritto per raccontarci la sua odissea in via Lepanto per presentare la relazione annuale sulla congiunta, di cui è amministratore di sostegno

Doversi occupare a tempo pieno di un congiunto gravemente malato è già un dramma. Cui spesso si aggiunge l’odissea degli adempimenti burocratici. Succede ogni giorno a tanti sconosciuti eroi del quotidiano, è successo anche al nostro lettore Enrico Scifoni che ha scritto al Corriere per raccontare i suoi due giorni, con 10 ore di attesa complessive, trascorsi in coda al tribunale civile di via Lepanto per presentare i documenti per conto di sua moglie, invalida al 100% e di cui è stato nominato amministratore di sostegno: dopo 50 anni di matrimonio, sei figli e 14 nipoti. «In base al decreto di nomina del Giudice Tutelare sono tenuto a depositare annualmente, presso la Cancelleria del Tribunale di Roma IX sez. civile, una relazione /rendiconto sulle condizioni psicofisiche, lo stato patrimoniale e le spese sostenute riguardanti la beneficiaria», ci ha scritto.

Il signor Enrico ha 83 anni e racconta: «Da qualche mese è stato deciso di accorpare nello stesso ufficio di Cancelleria una serie di competenze prima suddivise: dal deposito delle relazioni degli amministratori di sostegno, alla richiesta di copie, presentazioni di istanze al G.T. e perfino la vendita di marche da bollo. Il personale addetto però è sempre lo stesso: una o due operatori, al massimo», che danno, come da norme, la precedenza alle interruzioni di gravidanza e ai trapianti. Restano in attesa quelli come lui, che hanno persone da accudire e Scifoni ci tiene a sottolineare la difficoltà di molti di lasciare il coniuge o il figlio disabile a casa: «Non tutti possono permettersi l’assistenza a pagamento e c’è anche chi viene da fuori Roma, con grandi sacrifici. Per loro ogni ora persa in coda è un problema serio».
Il primo giorno lui non ce la fa: peraltro, «in attesa di essere ricevuti in ordine di lista siamo ammassati in un corridoio privo di aria condizionata con pochi posti a sedere, percorso in entrambe le direzioni da avvocati vocianti, segretarie di studi legali, invalidi in carrozzella». Il ritmo di disbrigo delle pratiche è lentissimo. Dalle 9 alle 13 solo una trentina di persone ce l’hanno fatta, molti altri abbandonano il campo, io e altri 12 resistiamo invano fino alle 13, 30. A quell’ora viene chiusa a chiave la porta dell’ufficio. Un cancelliere mosso a compassione ci consiglia di rivolgerci ad un’agenzia. C’è anche la possibilità, da quest’anno, di chiedere un appuntamento online, ma con tempi biblici».

Il secondo giorno opta per la levataccia e si presenta prima dell’apertura degli uffici: «Alle 7 già una piccola folla staziona davanti all’ingresso chiuso. Ci sediamo sulla gradinata come tanti mendicanti alle porte delle chiese. Riconosco alcuni che hanno condiviso con me la lunga e inconcludente attesa del giorno precedente e si crea un clima di solidarietà, come spesso accade nelle disgrazie. C’è una lista “autogestita” e mi danno il numero 24. I primi sono arrivati alle 5 del mattino, forse hanno dormito in auto?». Il racconto prosegue: «Entriamo alle 8, quando la guardia giurata apre il portone e aspettiamo l’appello (come a scuola) fatto da un cancelliere ad alta voce utilizzando la lista provvisoria o “casareccia”. Chi non risponde non viene registrato sulla lista ufficiale con tanto di timbro dove sono scritti i nomi di circa 40 persone. Guadagno tre posizioni e divento il 21 e penso che forse stavolta ce la farò. Passano le ore, sembra una sessione di esami».

«Alle 12.30 arriva finalmente il mio turno, mi presento al cancelliere con il dossier già predisposto: sono una ventina di pagine tra moduli a stampa compilati, conteggi, estratti conto bancari , copie di fatture e documentazione delle spese più rilevanti. Il cancelliere, gentile ma sbrigativo, prende le carte senza controllare se le ho firmate e accertare la mia identità. Alla mia richiesta di un estratto storico del fascicolo da cui risulti la presentazione dei documenti, mi risponde che non hanno la carta. Insisto per avere almeno un timbro a data sulla copia della relazione, ma occorre la marca da bollo. Mi arrendo, ma faccio in tempo a chiedere informazioni sull’esito di un’istanza di un amico avvocato che ho incontrato poco prima, saluto e avanti un altro! Quando esco dal tribunale mi sento come un miracolato a Lourdes dopo la guarigione, perché ho rischiato di dover tornare per la terza volta».

E anche per quest’anno almeno col tribunale è andata, nonostante la mancanza di una ricevuta che attesti l’esito positivo della pratica: ma non si può avere tutto, si consola filosoficamente il signor Enrico. Anche se l’idea di non averla perché nel tribunale di Roma è finita la carta sembra assurda, ma tant’è. Restano però in testa considerazioni amare: «In 48 ore ne ho trascorse 10 in tribunale solo per adempiere un dovere. Evidentemente il mio tempo per lo Stato non ha valore. Certo il mio caso, anche se riguarda migliaia di cittadini italiani, non fa notizia e non merita gli onori delle cronache, come quello della Sea Watch. Il mondo degli invalidi e dei familiari che li assistono fa parte del “sommerso” che non interessa quasi nessuno e tanto meno i politici». Ma non è finita: resta l’altro adempimento annuale, la presentazione della relazione all’Inps, per avere quei 4/500 euro al mese dell’accompagno. Gli «esami» non finiscono davvero mai.

Tratto da :

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/19_luglio_20/roma-coda-2-giorni-tribunale-la-moglie-invalida-fccf5daa-aa4f-11e9-a88c-fde1fa123548.shtml