Tommaso e gli altri, le “piccole” protesi dei pazienti di Budrio

77777777Dal 1961 il Centro protesi Inail segue bambini e ragazzi under 20. Come Tommaso a cui, per colpa di un’ischemia, hanno dovuto amputare una gamba a dieci giorni dalla nascita. La mamma: “Eravamo smarriti. Poi, finalmente, ci hanno parlato di questa struttura”.
ROMA – Tommaso ha avuto un’ischemia agli arti inferiori cinque ore e mezza dopo essere nato. “Dopo dieci giorni è stato necessario amputargli la gamba destra sopra il ginocchio. Da quel momento, lo smarrimento totale”. Nella voce di Elena, la mamma, ancora oggi, più di sei anni dopo, riaffiora la paura provata nei primi giorni di vita del suo secondogenito: “Io e mio marito non sapevamo come affrontare la situazione. Non avevamo informazioni, non sapevamo dove sbattere la testa. Fino a quando alle Officine ortopediche Rizzoli di Brescia ci hanno parlato del Centro protesi Inail di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna. Il giorno della prima visita, Tommaso aveva circa un anno e iniziava a camminare”. Elena ricorda l’impressione positiva, sin dall’inizio, della struttura e dello staff: “Tutti disponibili e gentili, pronti a rispondere alle nostre domande. Gli hanno subito fatto una piccola protesi per permettergli di alzarsi in piedi”. Al tema è dedicato un servizo di Ambra Notari sul numero di maggio 2017 del magazine Superabile Inail.
Il bambino, da allora, va al Centro un paio di volte l’anno. Non sempre fila tutto liscio, come in questi mesi: Tommaso, che oggi ha sei anni e mezzo, sta facendo registrare un picco di crescita. Medici e tecnici, di conseguenza, sono chiamati a modificare in continuazione la protesi.”Nostro figlio ha un carattere splendido. È solare, vivace, ha sempre superato brillantemente le difficoltà. Ha messo la protesi quando era talmente piccolo che per lui è la normalità, sebbene abbia coscienza della differenza”, spiega la mamma. A soli tre anni chiese ai genitori perché non aveva entrambe le gambe come i coetanei: “Gli abbiamo detto la verità e adesso sa cosa rispondere a chi glielo domanda. Non abbiamo avuto problemi fino a un paio di settimane fa, quando per qualche giorno è tornato da scuola con la protesi in mano. Ho pensato che fosse troppo stretta, poi ho parlato con la maestra. Mi ha raccontato che Tommaso le aveva dettato una lettera da leggere alla nuova classe”: infatti a settembre ha cominciato la prima elementare. Nello scritto si presentava ai compagni e parlava della sua gamba bionica, come la chiama lui. Diceva: “Non spingetemi, perché se cado posso farmi male, e potete farvi male anche voi”. Aveva un disagio, e ha capito da solo come superarlo. Siamo molto orgogliosi di lui. Quanto al futuro, mi trovo a pensare alla sua adolescenza: come sarà? Cosa farà? Mi auguro che incontri sempre persone intelligenti”.
“Come nel caso di Tommaso, solitamente interveniamo intorno agli otto-dieci mesi d’età, ma non è raro che i genitori ci interpellino già al terzo mese di vita – spiega Gennaro Verni, direttore tecnico del Centro protesi -. Il primo incontro è l’occasione per la visita con un’équipe multidisciplinare: fisiatra, psicologo, assistente sociale, internista, tecnico ortopedico, dirigente tecnico”. Presso il Centro Inail i bambini sono seguiti durante tutto il percorso di crescita: “Alcuni pazienti li abbiamo tenuti in braccio da piccolissimi, oggi li vediamo andare all’università”, sorride Amedeo Amoresano, primario fisiatra. In media i piccoli pazienti vengono visitati due o tre volte all’anno, per controllare che il moncone sia adeguato alla protesi. Ciascuna, infatti, è legata alla fase di crescita: a un bimbo di pochi mesi senza una mano sarà proposta una protesi estetica. Quando, invece, vorrà cominciare a scrivere, ne servirà una funzionale. Nei casi di assenza di arti inferiori, come nel caso di Tommaso, il momento fisiologico più significativo è quello dell’imparare a camminare.

L’adolescenza, anche in questo campo, è un momento particolare. “Ci sono ragazzi che chiedono protesi estetiche, di silicone, con peluria e tatuaggi. Magari dal punto di vista funzionale non sono il massimo, ma da quello estetico sì, tanto che si fatica a distinguerle da un arto reale”, specifica il fisiatra. In altri casi ancora, alcuni giovani rivolgono al Centro richieste particolari, come quando praticano sport specifici e necessitano di protesi ad hoc.
Il ruolo dei genitori-caregiver è fondamentale: devono controllare l’arto e l’invasatura e aiutare il figlio a usare la protesi, ma senza forzarlo. “Vale la pena cominciare a usare la protesi il prima possibile per arginare un possibile rifiuto, quanto meno iniziale – sottolinea Amoresano -. Noi parliamo, spieghiamo, accompagniamo. Talvolta è solo una questione di tempo, ma l’attesa non sempre è accettata dai genitori. Spesso, quando arrivano da noi, ci dicono: “Lo voglio come prima”. Ovviamente non è così semplice: è sempre il paziente che comanda, anche perché senza la sua collaborazione non si fa nulla. Contrariamente al desiderio di mamme e papà, non sono rari i casi in cui i bambini non vogliono protesi: hanno ottimizzato le loro competenze con l’arto amputato, sono a loro agio, si sentono tranquilli. Insistere non serve a nulla: hanno trovato la loro dimensione”.

TRATTO DA: http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/534491/Tommaso-e-gli-altri-le-piccole-protesi-dei-pazienti-di-Budrio