L’asse Calenda-Gentiloni

Calenda Gentiloni

Non c’è bisogno di aspettare la Direzione dem di lunedì prossimo per capire che l’alleanza di governo tra Cinquestelle e Pd non si farà. Il post su Facebook del ministro della Giustizia Orlando, esponente della minoranza del partito, mette una pietra tombale su questa ipotesi che era piaciuta molto ai dirigenti grillini. A questo punto rimane solo Emiliano a tifare per un accordo con Di Maio. E un po’ anche il presidente della Regione Piemonte Chiamparino che chiede di non chiudere la porta. Ma in realtà solo il capo della Lega Salvini – l’altro vincitore delle elezioni – teme che sotto sotto grillini e centrosinistra si metteranno d’accordo nel nome delle poltrone. Ma è più una provocazione che un’ipotesi fondata su basi concrete. Quindi perde un po’ di suspence l’appuntamento di lunedì che dal drammatico bivio “alleanza si, alleanza no”, si trasformerà nella non meno drammatica analisi della sconfitta epocale e nell’individuazione della strategia per risorgere dalle ceneri.

Lo scontro non è solo tra Renzi e la minoranza che vuole una guida collegiale del partito. I problemi nascono anche all’interno della maggioranza. C’è una scena che racconta le inquietudini di questi giorni. Il ministro Calenda arriva al Nazareno per prendere la tessera del Pd accolto dal vicesegretario Martina (con tanto di photo opportunity) e dai complimenti e ringraziamenti di importanti esponenti della maggioranza finora renziana. E nell’escludere categoricamente l’alleanza di governo con i grillini, pena la restituzione immediata della tessera di partito, Calenda dichiara che il Pd deve essere risollevato e che un segretario c’è e si chiama Gentiloni. Che Calenda va subito a salutare a Palazzo Chigi.

Gentiloni dunque, e non Renzi. Il segretario, in realtà, la sera di lunedì ha dato le dimissioni, ma congelandole fino alla formazione del governo. E il gruppo parlamentare – anche se ridimensionato rispetto al precedente – è renziano di stretta osservanza. Ma nella Direzione di lunedì saranno in molti – non solo della minoranza – che chiederanno al segretario di rendere effettive e immediate quelle dimissioni.

Ma il passaggio più delicato sarà il successivo, cioè l’elezione dei capigruppo di Camera e Senato. Serviranno due figure che mettano insieme minoranza e maggioranza renziana, fermo restando il no a qualsiasi ipotesi di accordo con Di Maio. Poi, se il Pd non sceglierà la strada del Congresso, ecco l’ipotesi di un segretario per guidare il partito nella stagione dell’opposizione. Molti sono i papabili a partire da Chiamparino e Zingaretti, vincitore per la seconda volta nel Lazio battendo destra e grillini. Oppure Calenda nel segno della novità. Ma probabilmente il nome vero deve ancora uscire allo scoperto.

Tratto da: http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/07/news/l_asse_calenda-gentiloni-190717734/