“Come si può ridurre la riabilitazione per compensare l’inabilità?”

Riabilitazione

 

Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Il lavoro che giornalmente e da 5 anni a questa parte svolgiamo con i nostri utenti è basato su quattro punti cardine fondamentali nella riabilitazione:

Sostegno all’autonomia
Sostegno alla relazionalità dell’io
Inserimento lavorativo
Sostegno alla creazione di una rete sociale

La riabilitazione è un processo che ha come obiettivi quelli di identificare, prevenire e ridurre le cause dell’inabilità. Altrettanto aiuta la persona a sviluppare ed usare le proprie risorse e capacità in modo da acquisire più fiducia in se stessa ed aumentare il livello di autostima, facendo leva su ciò che vi è di sano e non sulla patologia.

Premesso questo, come si può ridurre la riabilitazione a un aiuto nel compensare l’inabilità? Dove è finito il metodo che ha come scopo fondamentale l’attivazione di processi di cambiamento finalizzati ad aumentare il potere contrattuale della persona, le sue possibilità di scambio di risorse e affetti, la sua autonomia, il suo senso di responsabilità verso se stesso e verso gli altri?

Nel darci risposta a queste domande ecco la nascita del nostro gruppo di lavoro, fatto di continua crescita professionale e personale che va di pari passo alla creazione del gruppo degli utenti, ai quali, portati fuori dai limitanti contesti di provenienza, è stata data la possibilità di ricominciare a sperare nella vita e ad essere visti come persone eliminando pian piano quello stigma che si portano dietro.

L’approccio utilizzato a tale scopo è stato quello di creare un ambiente che si prenda cura globalmente della persona, portandola per step progressivi a incrementare abilità e autonomia, fornendo personale qualificato nella riabilitazione che prende in carico sia la cura del sé e dell’abitazione, ma che media e facilita i contatti con l’esterno del circuito psichiatrico (tramite laboratori, collaborazione con Caffeina ed altre realtà del territorio) fino ad arrivare all’inserimento protetto lavorativo. Proprio questo approccio unitario permette di monitorare e individualizzare sempre di più l’intervento, rendendolo efficace ed efficiente.

La scelta di farli abitare tutti in un unico quartiere è pensata per incrementare la socialità, creando cosi relazioni significative e stabili, che vengono rafforzate dal senso di appartenenza ad un progetto comune, che si traduce in momenti di aggregazione positiva come feste di compleanno o feste comandate che altrimenti sarebbero passate in solitudine.

Tutto ciò concorre alla creazione di una rete di supporto e confronto fra pari, risorsa imprescindibile per la riuscita della riabilitazione sociale.

Ridurre tutto questo alla semplice cura nell’autonomia porterebbe anni di lavoro a quel famoso giro di boa che porta alla cronicizzazione e all’impoverimento, si passerebbe quindi da un lavoro prettamente riabilitativo ad uno prettamente assistenziale, come si fa nelle disabilità motorie gravi.

Ci chiediamo dove andrà a finire la nostra professionalità, le nostre competenze acquisite con anni di studio e formazione specifica, teorica e sul campo; la nostra maggiore preoccupazione riguarda il lavoro che andremo a svolgere, un lavoro nettamente diverso rispetto a quello svolto finora, multidisciplinare, coordinato in equipe, sostenuto da formazione continua e supervisione psicologica, che sostengono la struttura portante dell’organizzazione operativa.

Un altro punto importante su cui si basa il nostro operare è l’importanza della relazione, della fiducia e infine dell’affidarsi i quali esistono ora grazie alla continuità terapeutica e al continuo scambio in un equipe di lavoro che quotidianamente opera pensando solo ed esclusivamente alla persona.

Con un’operazione di cumulo ore siamo riusciti a coprire 10 ore giornaliere per ogni appartamento supportando con la nostra presenza i ragazzi in ogni momento della giornata non sostituendoci mai a loro. Loro si occupano della casa, cucinano da soli, fanno spesa da soli, si occupano della loro salute con un lavoro di self medication e cosa più importante lavorano con dei progetti studiati per loro.

La decisione di mettere a bando la cura dei pazienti psichiatrici comporta numerose conseguenze: innanzitutto la totale esclusione del paziente nella scelta del proprio percorso riabilitativo, che finora ha potuto scegliere attività e curanti più adatti alle proprie inclinazioni, mentre ora sarà la Asl a decidere al posto loro, privandoli della libertà di scelta. In merito a questo, ci chiediamo perché la Asl non abbia invitato alcuni pazienti per renderli partecipi di cosa sarebbe accaduto di lì a poco, bensì nella maggior parte dei casi abbia convocato separatamente i familiari per far firmare loro il nuovo progetto all’istante o al massimo “oggi per domani”.

La messa a bando, che avrà scadenza annuale, andrà a ledere la continuità terapeutica, in quanto quest’ultima è garantita dalla prosecuzione di un progetto e di un modello ideologico e organizzativo proprio di ogni cooperativa che gestirà l’appalto.

La Asl ha diviso la vita dei pazienti in lotti, e a tale frammentazione corrisponderanno altrettante cooperative che prenderanno in carico aspetti specifici, perdendo così la globalità del trattamento riabilitativo.

Il budget stanziato con il bando per il Lotto 2 comporterà una diminuzione delle ore in cui gli operatori saranno presenti in appartamento, con un conseguente decremento del trattamento riabilitativo, che non corrisponde ad un reale miglioramento delle condizioni di salute ma risponde solo a logiche economiche, a discapito del diritto alla salute. Come si può quindi pensare di ridurre il budget stanziato rispetto a quello attuale?

Il nostro gruppo di operatori funge da specchio al gruppo degli utenti e si basa su tempo, spazio e relazione: parametri fondamentali che si alterano nella sofferenza psichica; la storia della psicosi è fatta di impoverimento, di perdita, in cui si riduce la capacità di comunicazione, la relazione si perde in un tempo sempre uguale, il tempo del “non potere”, della perdita di interessi, dell’assenza di progetti in cui il desiderio scompare e “l’esistenza si contrae diventando silenzio e ombra”(Ballerini, Rossi Monti, 1983)

Se l’interesse di chi decide è quello di riportare, come citato, questi ragazzi a silenzio e ombra si proceda pure… Oppure si cominci veramente a pensare a loro come persone e non si rimetta la loro vita ad un bando di gara… Come si può pensare di farlo, tantopiù nel quarantesimo anniversario della Legge 180 (Legge Basaglia)?

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