Da cellule staminali ingegnerizzate una possibile cura per il diabete di tipo 1

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In topi ottenuta la remissione della malattia. Ma occorreranno altri studi per avere conferme

È presto per parlare di una cura. Ma i ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università di Milano potrebbero aver trovato la chiave per spegnere – non si sa ancora se temporaneamente o in maniera permanente – il diabete di tipo 1.

Il risultato, raggiunto insieme a ricercatori del Boston Children’s Hospital e la Harvard Medical School, è stato ottenuto in topi di laboratorio tramite l’infusione di cellule staminali ematopoietiche ingegnerizzate per aumentare la sintesi di una particolare proteina, PD-L1.

La ricerca è stata pubblicata su Science Translational Medicine, una delle più prestigiose riviste di medicina sperimentale.

Fermare il nemico interno

Nel diabete di tipo 1, le cellule beta pancreatiche deputate alla produzione di insulina vengono attaccate e distrutte da una particolare popolazione di cellule del sistema immunitario: i linfociti T autoreattivi.

Da tempo è noto che le cellule staminali e progenitrici ematopoietiche contenute nel midollo osseo esprimono PDL1 una molecola immunoregolatoria che aiutano a mantenere bassi i livelli di linfociti T autoreattivi.

Per questo da tempo si cerca di utilizzare nuove strategie immunoterapeutiche per fermare l’attacco autoimmune alle cellule insulari e curare così i pazienti affetti da diabete di tipo 1: tuttavia, le terapie utilizzate finora non si sono dimostrate efficaci nel bloccare l’avanzamento della malattia. Il trapianto autologo di cellule del midollo osseo, in particolare, vale a dire l’infusione di cellule staminali ematopoietiche provenienti dal paziente stesso per ricostituire il proprio sistema immunitario, si è dimostrata una strategia efficace solo per alcuni pazienti, ma non per tutti quelli trattati.

«Le cellule ematopoietiche hanno effettivamente capacità immunoregolatorie ma sembra che nei topi e negli esseri umani affetti da diabete queste proprietà siano compromesse», ha spiegato il coordinatore dello studio Paolo Fiorina, direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi. «Abbiamo scoperto che nel diabete le cellule staminali ematopoietiche sono difettose e ciò contribuisce all’instaurarsi di uno stato infiammatorio, che si associa all’ insorgenza della malattia diabetica».

Caccia al bug

Il primo passo dei ricercatori è stato quindi identificare l’errore che determina il difetto caratteristico delle cellule staminali ematopoietiche dei pazienti diabetici.

Il gruppo hanno dunque tracciato il profilo trascrittomico di queste cellule per capire quali proteine fossero coinvolte ed hanno scoperto che il set di geni regolatori (microRNA) che controllano la produzione di PD-L1 risulta alterato nelle cellule staminali ematopoietiche dei topi e dei pazienti diabetici, il che comporterebbe una limitata produzione di PD-L1, favorendo l’insorgenza della risposta autoimmunitaria.

Dalle cellule staminali ingegnerizzate una cura per il diabete

Paolo Fiorina, direttore del Centro di Ricerca Internazionale sul Diabete di Tipo 1 presso il Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi. Intervista: Università Statale di Milano

Un virus per correggere

Utilizzando un virus come vettore, i ricercatori hanno introdotto nelle cellule ematopoietiche un gene sano per la sintesi di PD-L1 e le hanno infuse in topi diabetici.

Il risultato è stato la remissione della malattia.

«Con la somministrazione di queste cellule il sistema immunitario viene rimodellato», ha aggiunto Fiorina. «Lo studio mostra come le cellule staminali, trattate e successivamente iniettate nel topo, siano in grado di migrare nel pancreas, sito in cui sono contenute le isole pancreatiche che producono insulina. In tutti i topi trattati il diabete è stato completamente curato e un terzo di loro ha mantenuto la normoglicemia per una lunga durata. La proteina PD-L1 è stata ripristinata sia tramite terapia genica che usando un approccio farmacologico con molecole di piccole dimensioni».

Infatti, i ricercatori hanno ipotizzato che lo stesso effetto potrebbe ottenersi anche trattando le cellule con un cocktail di tre molecole: interferone beta, interferone gamma e acido polinosinico-policitidilico.

«Pensiamo che la risoluzione del deficit di PD-L1 possa fornire un nuovo strumento terapeutico per la malattia», ha detto la prima firmataria dello studio Moufida Ben Nasr, ricercatrice al Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco” della Statale di Milano e al Centro di Ricerca Pediatrico Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università di Milano.

È solo l’inizio

Benché i risultati ottenuti dai ricercatori milanesi siano straordinari, è solo l’inizio.

La strategia dovrà ancora essere affinata in modelli animali, per esempio per capire la durata dell’efficacia di questa nuova terapia cellulare, nonché la frequenza di somministrazione del trattamento.

E poi sarà necessario verificare anche sull’uomo la sua efficacia e la sua sicurezza. Per questo, il professor Fiorina (che detiene un brevetto sulla funzione immunoregolatoria delle cellule staminali ematopoietiche) e i colleghi, in collaborazione con gli scienziati del Fate Therapeutics di San Diego, in California, stanno lavorando per ottimizzare il “cocktail” di molecole utilizzato per modulare le cellule staminali ematopoietiche, mentre sono in corso contatti con la Food and Drug Administration al fine di ottenere il sostegno per la conduzione di uno studio clinico per il diabete di tipo 1.

Lo studio è stato sostenuto dall’EFSD / Sanofi European Research Program, da un Grant-In-Aid dell’American Heart Association e da una sovvenzione di ricerca della Fate Therapeutics.

Tratto da: http://www.healthdesk.it/ricerca/cellule-staminali-ingegnerizzate-cura-diabete-tipo-1