Il ministro Salvini dà voce al pregiudicato per attaccare il sindaco di Riace

pNon possiamo consolarci pensando che l’era salviniana ha avuto un inizio e avrà una sua fine. Resta la mancanza di anticorpi alle balle, alla verità capovolta e falsificata. Resta l’impossibilità di riconoscere un condannato per mafia solo sentendolo parlare in un video: siamo in emergenza democratica

Nelle stesse ore in cui in Rete e sui social network si ricordava l’assassinio avvenuto 12 anni fa (il 7 ottobre 2006) della giornalista russa Anna Politkovskaja, un ministro del M5S attaccava la stampa libera mentre il suo contraltare leghista, sulle sue piattaforme social, diffondeva un video in cui a criticare Mimmo Lucano, sindaco di Riace, era un uomo noto per essere stato condannato in via definitiva come prestanome di un boss di ‘ndrangheta.
Il ministro degli Affari interni – quello che dovrebbe vegliare in ultima istanza sulla sicurezza dei cittadini – non solo è intervenuto contro un cittadino non colpevole fino a prova contraria, con il peso del suo essere Istituzione, ma per farlo ha opposto a Mimmo Lucano il signor Pietro Zucco, ex vicesindaco di Riace (chiaramente prima che fosse sindaco Lucano), condannato in via definitiva a 4 anni e 6 mesi di reclusione per trasferimento fraudolento di valori: secondo la Direzione distrettuale antimafia, Pietro Zucco avrebbe permesso a Vincenzo Simonetti, uomo di punta del clan Ruga-Metastasio, di continuare a gestire la cava che gli era stata sequestrata. Prima di condividere quel video, il ministro che ho definito “ministro della Mala Vita” (e io che pensavo di citare solo Salvemini…) ci avrebbe messo un attimo a verificare l’identità di chi parlava. Ma non l’ha fatto.

Probabilmente – e questo è ancora più grave – non lo ha fatto il numeroso staff che cura, a spese dei contribuenti, la sua comunicazione (tra questi brilla il nome del figlio di Marcello Foa, nuovo presidente Rai: auguri a noi!).

Forse il ministro neanche sapeva chi fosse Pietro Zucco, dato che quando è andato a rendere rispettosamente omaggio ai suoi elettori a Rosarno subito dopo le elezioni, in 27 minuti di intervento ha avuto l’ardire (o il timore…) di dedicare solo 40 secondi alla ‘ndrangheta.

Matteo Salvini è pericoloso perché è una miscela, potenzialmente rovinosa per il Paese, di inadeguatezza, disinteresse reale per le dinamiche mafiose, cinismo abbinato a una sfrenata ambizione e inquietanti relazioni con esponenti della estrema destra, non solo italiana. E così accade che mentre i giornalisti da lui odiati leggono le carte delle inchieste prima di scrivere o registrare un video, citano le inchieste e verificano le fonti, il ministro si comporta come l’ultimo degli avventori del bar dello sport, e utilizza – contro cittadini che hanno democraticamente manifestato all’insegna dei valori della solidarietà e dell’accoglienza – le parole di un uomo che ha agevolato la ‘ndrangheta.
Tutto ciò senza neanche chiedere scusa quando la verità è venuta fuori; senza dire “ho sbagliato e ho fatto una cosa gravissima”. Ma non può farlo perché le scuse non fanno parte del format, abbasserebbero la reach, come probabilmente direbbe il piccolo Foa. Però a questo punto il ministro deve accettare che, se voluta (mentre sto scrivendo non risulta alcuna sua dichiarazione sul punto) quella mancanza di scuse può significare una sola cosa: che lui è d’accordo con Pietro Zucco; lui ha scelto da che parte stare; per Salvini le parole di una persona che ha favorito la ‘ndrangheta valgono più della libera e democratica manifestazione di pensiero di tanti cittadini.

Lo sospettavamo da molto ma non credevamo fosse in grado di rivendicarlo in questo modo. Noi abbiamo le nostre opinioni, certo, e sono opinioni di parte, scegliere è il passo necessario per ogni azione democratica ma prendiamo su di noi la responsabilità delle nostre idee.

Non creiamo false notizie, falsi video, false verità da condividere. Noi diciamo quello che pensiamo e ci mettiamo la faccia; e se ci querelano su carta intestata del ministero per farci paura, tiriamo dritto perché paura non ne abbiamo. Anzi. Siamo qui ad aspettare la prossima aggressione e ribadire ancora: non molliamo.
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Non basta consolarsi pensando che Di Maio – che peraltro su questa gravissima vicenda ha osservato, assieme agli altri colonnelli del Movimento, un religioso silenzio: era questo il cambiamento? Lo sdoganamento delle parole mafiose? – probabilmente ha già fallito il suo mandato e che alle elezioni europee, nonostante minacci sovvertimenti, probabilmente non sarà neanche più in sella, dato che oramai i nemici più acerrimi ce li ha in casa. Non possiamo consolarci pensando che l’era salviniana, come tutte le cose umane, ha avuto un inizio e avrà una sua fine, perché le circostanze che hanno determinato questa situazione restano immutate.
Resta la mancanza di anticorpi alle balle, alla verità capovolta, ribaltata, falsificata. Resta l’impossibilità di riconoscere un condannato per mafia solo sentendolo parlare in un video. Resta la consapevolezza che siamo in emergenza democratica.

I social network devono dotarsi di fact checker, gli algoritmi che censurano le immagini del Duce, anche se vengono postate per esprimere una critica, non bastano più: altrimenti un giorno saranno chiamati a pagare anche loro il prezzo del tramonto delle democrazie. Ci sono social media manager di successo (ebbene sì, qualcuno ne decanta il talento) che hanno abituato i loro utenti alla coprofagia: o mettiamo un argine o diventeremo ciò di cui ci nutre il social network, cioè sterco.

Tratto da: https://www.repubblica.it/cronaca/2018/10/09/news/riace_lucano_pietro_zucco_salvini_m5s_il_ministro_da_voce_al_pregiudicato_saviano-208518258/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P6-S1.8-T1