Iscrizione anagrafica delle persone senza dimora: manca procedura condivisa

77777777777777777777777Avvocato di strada ha intervistato 302 comuni per verificare se esiste una via fittizia, 168 ce l’hanno. Ma i documenti richiesti per l’iscrizione variano da territorio a territorio. E c’è anche chi chiede la carta di identità. I risultati della ricerca “Senza tetto, non senza diritti”


BOLOGNA – Alcune hanno nomi che richiamano l’amministrazione, come via della Casa comunale o del Municipio, altre fanno riferimento a santi, ai principi di solidarietà, come via dell’Accoglienza, dell’Umanità o dell’Amicizia. Altre ancora richiamano proprio la condizione di chi è costretto a utilizzare una via che territorialmente non esiste per poter richiedere l’iscrizione anagrafica a causa della mancanza di un luogo da chiamare casa. Ecco allora via dei Senza dimora o via degli Apolidi. Bologna ha scelto di intitolarla a Mariano Tuccella, senza dimora aggredito mentre dormiva in strada da un gruppo di ragazzi che voleva derubarlo e morto dopo alcuni mesi di coma senza mai riprendere conoscenza. La maggior parte dei Comuni ne ha una, alcuni ne hanno 2 o 3 a seconda che la persona iscritta sia senza dimora o in carico ai servizi sociali. Sono 168 i Comuni italiani che hanno una via fittizia istituita ad hoc per consentire alle persone senza dimora di chiedere l’iscrizione anagrafica, come previsto dalla circolare Istat 29/1992. È quanto emerso da “Senza tetto, non senza diritti”, la ricerca realizzata dall’associazione Avvocato di strada. Sono 302 i Comuni che hanno partecipato all’indagine per verificare quanti hanno istituito la via fittizia, quali sono le modalità per la verifica del domicilio delle persone senza dimora, quale documentazione va presentata e quale ulteriore richiesta viene fatta alla persona. “Dai dati raccolti, risulta evidente che l’iscrizione anagrafica delle persone senza dimora rappresenta ancora una procedura che non ha una sua connotazione uniforme, unitaria e organica – scrivono gli autori dell’indagine – Noi auspichiamo che si giunga al più presto all’adozione di una procedura condivisa in piena aderenza con il dato normativo: ciò non solo per il principio di legalità, ma anche al fine di evitare distorsioni, forzature e margini di discrezionalità da parte della Pubblica amministrazione che possano generare discriminazioni tra le persone”.

Sono 302 i comuni analizzati scelti in base al criterio della dimensione demografica, “perché – spiegano gli autori – è nei comuni più popolati che si concentra un maggior numero di homeless e c’è una presenza più elevata di associazioni e servizi nati per soddisfare i loro bisogni”. Sono 168 i comuni che hanno istituito una via fittizia, di cui 51 non hanno dato informazioni sulla procedura per l’iscrizione (alcuni hanno indicato solo gli estremi della delibera comunale che ha istituito la via). Rispetto alle persone che possono richiedere l’iscrizione nella via fittizia: 6 hanno indicato i nati nel comune, 13 le persone senza fissa dimora, tutti gli altri non si sono espressi. “Riteniamo quindi che le iscrizioni siano possibili per chiunque e non solo per i nati nel comune – scrivono gli autori – In caso contrario, questa procedura rappresenterebbe un grave errore di interpretazione della normativa”. In merito all’uso di moduli preimpostati: 16 comuni utilizzano il modello ministeriale allegato alla circolare del ministero dell’Interno del 27 aprile 2012, 3 lo hanno modificato aggiungendo una sezione in cui vengono richiesti alcuni recapiti (come il telefono cellulare).

I comuni che hanno risposto alle domande su requisiti e procedure hanno fatto tutti riferimento alla dimora abituale o al domicilio nel comune: molti hanno aggiunto alcuni elementi per poter presentare la domanda e procedere con l’iscrizione, quello più frequente è l’essere presi in carico dai servizi sociali. Sono 39 i comuni che lo richiedono, 5 quelli che prevedono un coinvolgimento attivo dei servizi nella procedura. “Il coinvolgimento dei servizi attesta da un lato la sensibilità di alcuni comuni che riconoscono condizioni di fragilità in chi vive per strada, dall’altro espone i comuni ad alcuni rischi: il colloquio con i servizi non può essere un requisito perché non è previsto da alcuna norma e attribuisce ai servizi sociali un potere discrezionale di valutazione”. Sono 39 i comuni che richiedono la dimostrazioni di legami con il territorio.

Un comune richiede un documento manoscritto dal richiedente che indica la condizione generale, i servizi a cui è in carico e gli indirizzi di rifeirmento, ritiene preferibile fare un colloquio con il richiedente nonostante l’esistenza di un modulo preimpostato, richiede un colloquio con il responsabile dell’ufficio anagrafe per verificare se sussistono i requisiti, richiede la certificazione Isee, si riserva di richiedere altri documenti. “Si tratta di una prassi anomala, fumosa e foriera di interpretazioni politiche non in linea con il dettato normativo”. Sono 13 i comuni che richiedono il documento di identità: “Chi vive per strada spesso non ha con sé i documenti perché gli sono stati rubati, li ha smarriti o sono scaduti e non ha potuto rinnovarli – scrivono gli autori – Poiché questi comuni non hanno specificato ulteriori caratteristiche sul documento, è da considerare valido anche il documento scaduto oppure la presenza di due testimoni al momento della presentazione della domanda”.
Per l’iscrizione serve il domicilio? “Dalle risposte è emerso un dato allarmante – dicono gli autori – la stessa definizione giuridica di domicilio non pare essere condivisa da tutti i comuni oggetto della ricerca”. Uno ha risposto che la domiciliazione non è necessaria, ma deve essere dimostrato l’interesse a risiedere nel comune. “Una procedura che non trova riscontro nella normativa nazionale e denota una confusione del termine ‘domicilio’ quale centro di interesse ex articolo 43 codice civile e quello di ‘residenza’. Mantenendosi sulla risposta fornita dal comune, si potrebbe argomentare che l’interesse a risiedere si evince dalla presentazione della domanda”. Un’altra criticità è data dalla difficoltà per l’interessato a recuperare un’eventuale documentazione per dimostrare l’interesse, con il rischio di trasformare il procedimento di iscrizione che dovrebbe avviarsi con la sola dichiarazione dell’interessato in una valutazione dscrezionale da parte dell’ufficiale dell’anagrafe. Circa la possibilità di eleggere il domicilio presso il comune: 24 hanno risposto che non è possibile, 26 prevedono questa possibilità, per 1 possono farlo solo i nati nel comune, 1 prevede la possibilità di farlo presso la casa di riposo comunale. E rispetto ai luoghi per possibili domicili: 56 hanno indicato il domicilio di amici o parenti, 46 associazioni di volontariato, 1 ha detto che non è possibile la domiciliazione presso associazioni. Quando è possibile eleggere il domicilio presso il comune, viene offerto un servizio di posta? Solo 24 comuni hanno risposto: 9 non lo prevedono, 15 lo hanno attivato.
Una via fittizia in ogni comune, con un nome che non la renda facilmente ricollegabile alla condizione di senza dimora e di esclusione sociale e la possibilità per le persone senza dimora che vivono sul territorio e/o siano seguite dai servizi di eleggere il domicilio presso la Casa comunale. È quanto propone Avvocato di strada. “La soluzione di eleggere il domicilio presso la Casa comunale privilegerebbe sia l’interessato sia l’amministrazione – spiega – Se, infatti, il primo potrà avere un domicilio all’interno del comune e un gratuito servizio di posta, l’amministrazione sarà in grado di effettuare costantemente un controllo della popolazione effettivamente presente nel suo territorio”.

Tratto da: http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/640138/Iscrizione-anagrafica-delle-persone-senza-dimora-manca-procedura-condivisa