febbraio
La forza delle disabili in Palestina
Posted by Ileana Argentin at 10:07 AM. Placed in Rassegna stampa category
C’è chi fa parte di un’associazione, chi studia o lavora e segue un corso di formazione. Sono in Italia per stringere nuove alleanze e ricordare che si battono per i propri diritti
Doha ha 23 anni ed è una studentessa universitaria di Hebron con una disabilità motoria acquisita. Fidaa, invece, gestisce un negozietto di abiti e accessori femminili a Gaza nonostante sia di statura molto molto piccola. Perché se nei Territori palestinesi occupati le donne disabili vivono una condizione di stigma che non consente loro di accedere al mercato del lavoro né di partecipare attivamente alla vita sociale, alcune però fanno parte di associazioni (come Stars of Hope, Assawat ed El Amal), altre hanno un’occupazione, sono piccole imprenditrici o hanno seguito un corso di formazione per imparare una professione. Anche Alima, che si è appena laureata, appartiene a queste categorie. Erano in 13 a rappresentare la delegazione femminile che è stata in Italia fino al 26 febbraio e si è mossa tra Bologna, Rimini, Ravenna, Firenze e Roma per stringere nuove alleanze con università, camere di commercio, enti locali e istituzioni nazionali e per ricordare che in Palestina c’è una società civile che, nonostante le difficoltà, si batte per i propri diritti spesso aiutata dalle organizzazioni non governative straniere.
Più partecipazione
L’iniziativa si chiama “Donne in viaggio oltre le barriere della disabilità” ed è stata organizzata dalle ong emiliano-romagnole Educaid e Aifo (Associazione italiana amici di Raoul Follereau), da Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap) e Dpi (Disable people international) Italia, tutte riunite nella Rids (Rete italiana disabilità e sviluppo). Queste realtà, in particolare Educaid e Aifo, hanno avviato e stanno sostenendo tre progetti di partecipazione attiva e inclusione sociale, formazione professionale e integrazione lavorativa delle donne disabili palestinesi: “Particip-Action” in Cisgiordania, “Lavoriamo tutte” e “We work” nella Striscia di Gaza, finanziati da Ministero degli Affari esteri, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e Regione Emilia-Romagna. Il primo progetto «ha voluto rafforzare le organizzazioni di persone con disabilità che già operano nel West Bank in modo da renderle strumenti sempre più efficaci di pressione sul governo locale. Si è lavorato su diritto allo studio e al lavoro, barriere architettoniche e familiari, privazione del tempo per le madri che assistono i figli disabili», spiega Luca Ricciardi di Educaid. «Ma presto partirà anche qui un progetto legato a incentivare l’imprenditorialità».
Emancipazione in rosa
Gli altri due progetti, invece, sono stati più orientati verso l’autonomia professionale. «È stato creato un help-desk per cercare un impiego alle donne disabili disoccupate della Striscia di Gaza, sono stati realizzati training per insegnare a fare un curriculum e sostenere un colloquio di lavoro e sono stati avviati tirocini in aziende del territorio», racconta Francesca Annetti, sempre di Educaid. Tra le attività in programma c’è anche «la sensibilizzazione di imprese private e organizzazioni no profit finalizzata all’assunzione di donne disabili e la consulenza manageriale a una quindicina di start-up» in rosa nate dal precedente progetto “Include”. Come il negozio di borse e ricami artigianali di Sawsan, affetta da nanismo, e lo studio fotografico di Nidaa. Ma c’è anche chi ha messo in piedi un allevamento di pecore come Faten. Spesso, poi, queste attività non sono solo un fattore di crescita, ma diventano la fonte principale di reddito per tutta la famiglia.
Analizzare per agire
Tanto “Partecip-Action” quanto le piccole grandi storie di imprenditrici coraggiose, tra cui alcune sorde, sono state oggetto di due ricerche emancipatorie realizzate dal laboratorio Arco (Action reserach for co-development) dell’Università di Firenze insieme alle stesse donne disabili palestinesi che sono diventate a loro volta intervistatrici. I risultati parlano «di sviluppo delle loro capacità di relazione, analisi e interpretazione delle problematiche legate ai diritti e al contesto culturale per il primo progetto, mentre per “We work” si è trattato di verificare la sostenibilità delle micro-imprese create – dice Federico Ciani di Arco Lab –. I dati raccolti potranno essere utili sia a ong, amministrazioni e realtà economiche locali sia alla cooperazione internazionale, allo scopo di provare a programmare politiche inclusive anche in una situazione difficile e limitante come quella dei Territori palestinesi occupati».
Tratto da: http://www.corriere.it/salute/disabilita/17_febbraio_23/forza-donne-disabili-palestina-ef5e80a2-f9f2-11e6-9b43-a08eac6546a0.shtml