La storia di Hanyi, respinta a Malpensa per un permesso di soggiorno sbagliato

Il Tribunale di Brescia ha accolto in via cautelativa il ricorso urgente della donna cubana, in Italia dal 2011, rimpatriata dopo cinque giorni di reclusione in aeroporto. “Sussistono fondati motivi per ritenere illegittima” la revoca del suo permesso di soggiorno e di conseguenza anche il respingimento.
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MILANO – Il respingimento era illegittimo. Hanyi Figueras Pelaez, la donna cubana rimasta bloccata all’aeroporto di Malpensa per cinque giorni e poi rimpatriata perché, dopo un periodo di vacanza nel suo Paese d’origine, aveva scoperto al controllo documenti della Polizia di frontiera che il suo permesso di soggiorno era stato revocato, può ora tornare in Italia. È quanto ha stabilito il giudice Mauroernesto Macca del Tribunale di Brescia con l’ordinanza cautelare emessa il 18 marzo, che ha accolto il ricorso urgente presentato dagli avvocati della donna, Livio Neri e Federico Micheli. Secondo il giudice, “sussistono fondati motivi per ritenere illegittima” la revoca del permesso di soggiorno della donna e di conseguenza anche il respingimento.

Della vicenda di Hanyi Redattore sociale si è occupato fin dall’inizio, quando, arrivata con un volo diretto dall’Avana il 26 novembre a Malpensa, è stata trattenuta nell’area degli arrivi internazionali dell’aeroporto fino al primo dicembre, giorno in cui è stata imbarcata su un volo per Cuba. Cinque giorni, durante i quali le è stato vietato di essere assistita da un avvocato e non ha potuto utilizzare il suo cellulare (ma era disponibile un telefono a monete). Hanyi, in Italia dal 2011, era sposata con un italiano, dal quale si è separata nel 2016. I suoi problemi sono iniziati quando, nel 2017, ha chiesto il rinnovo della Carta di soggiorno. La Questura di Milano, infatti, non le rilascia una nuova Carta di soggiorno, ma solo un permesso di soggiorno per motivi familiari. Tra l’altro, era ancora in sospeso anche la sua richiesta di cittadinanza. Nel 2018 il permesso di soggiorno le viene revocato, ma la notifica viene inviata all’indirizzo dell’ex coniuge e non a quello in cui lei si è trasferita dopo la separazione. Ed è per questo che scopre solo il 26 novembre a Malpensa, al controllo documenti, che non ha più il permesso di soggiorno valido. Sono gli agenti della Polizia a dirglielo e ad informarla che sarà trattenuta in aeroporto fino a quando non ci sarà un volo per rimpatriarla.

Secondo il giudice di Brescia, però, Hanyi aveva diritto al rinnovo della carta di soggiorno, perché “aveva maturato il diritto al soggiorno permanente ex artt. 14 e 17 d.lgs. n. 30/2007” e perché “era residente regolarmente da oltre cinque anni e non vi era alcuna pronuncia di scioglimento del matrimonio”. Quindi ad Hanyi fu innanzitutto rilasciato un permesso di soggiorno sbagliato. Non solo. Il giudice sottolinea che “il matrimonio (di Hanyi, ndr) non appare essere stato un matrimonio fittizio o comunque contratto al solo scopo di permettere alla straniera il soggiorno in territorio nazionale” e che “ciò si può desumere in particolare dalle condizioni economiche disciplinate in sede di separazione personale, in tal modo dandosi atto di una pregressa comunione di vita che non appare essere stata non genuina”. In altre parole, il matrimonio di Hanyi era sincero e la separazione non causa la revoca del permesso di soggiorno né tantomeno di una Carta di soggiorno. Se la separazione fosse causa di revoca, significherebbe che le coppie miste non possono mai separarsi o divorziare. Hanyi, insomma, è stata rimpatriata per colpa di un permesso di soggiorno sbagliato, che è stato revocato per motivi sbagliati.

“Abbiamo presentato un ricorso urgente perché la signora Hanyi in Italia ha un impiego -aggiunge l’avvocato Federico Micheli-. Ha quindi ora la possibilità di tornare in Italia e riprendere il suo lavoro”. L’ordinanza del giudice di Brescia segna quindi un primo punto fermo a favore di Hanyi. Il ricorso non si è ancora concluso, il giudice entrerà nel merito di tutta la vicenda, ma intanto la donna può riprendere la sua vita in Italia. Al tribunale di Brescia pende anche un altro ricorso, presentato dalla donna, che entra nel merito delle modalità di trattenimento in aeroporto e l’eventuale violazione dei diritti umani, visto che le è stato negato di parlare con gli avvocati ed è stata reclusa per più di 48 ore senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. (dp)

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