La vera storia di Faitha: “Non è stata cacciata, ha scelto il trasferimento”

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Si è molto parlato della ragazza “mandata via dal Cara del Castelnuovo di Porto, che ha partorito non appena scesa dal treno”. Ma una lettera di Francesca De Masi della cooperativa Be Free, chiarisce: “ Il trasferimento a Lecce già previsto, falsità ed errori negli articoli di stampa. Dov’è la tutela della sua privacy?”

ROMA – “Ho accompagnato io Faitha alla stazione Termini. Ebbene sì, sono stata io a metterla sul treno. Era felice di poter finalmente lasciare quel luogo. Quando è arrivata a Lecce, il mercoledì all’ora di pranzo, non il giovedì mi ha chiamata serena, e io le ho promesso che quest’estate sarei andata a trovare lei e la sua bambina, essendo salentina e avendo la mia famiglia proprio a pochi chilometri dalla sua nuova casa”. Francesca De Masi lavora per la cooperativa Be Free contro tratta violenze e discriminazioni e il 3 febbraio ha scritto una lettera pubblicata sul sito della cooperativa e inviata al direttore di Repubblica per raccontare “come sono andate veramente le cose riguardo Faitha, la donna proveniente dal Cara di Castelnuovo di Porto” perché sottolinea “è nostro dovere lottare contro leggi e sistemi ingiusti, ma anche dire la verità”. Il quotidiano, insieme ad altri media, locali e nazionali, ha infatti raccontato la storia di questa ragazza di 20 anni al nono mese di gravidanza “mandata via improvvisamente dal Cara” e “fatta partire da sola, in queste condizioni, in treno alla volta di Lecce”.

Tutto nasceva da un post, pubblicato su Facebook da Arci Lecce, con tanto di foto di mamma e bambina: “Faith ha 20 anni. Ci è stata mandata in fretta e fuori dal Cara del Castelnuovo di Porto, scesa dal treno subito in ospedale per partorire. Non aveva documentazione sanitaria, nulla – si legge -. I bravissimi medici di Galatina sono rimasti sbigottiti dal fatto che sia stata messa su un treno in quelle condizioni. E’ nata Aliya, una meraviglia e questo a noi basta, ma qualcuno dovrà fare i conti con la propria coscienza”.

De Masi, però, racconta una storia diversa. “Faitha – scrive – è una delle poche a non essere stata mandata via dal Cara, ma ad attuare un trasferimento scelto in precedenza, con il sostegno di Be Free, presso una struttura Sprar, come suo diritto, in quanto titolare di protezione internazionale, e non richiedente asilo, come scritto nell’articolo”. La prima richiesta di trasferimento in uno Sprar fatta da Be Free al Servizio centrale è del 30 novembre 2018. “A questa sono seguiti diversi solleciti, scritti e telefonici, a cui è stata data una risposta da parte dello stesso Servizio centrale solo il 15 gennaio 2019”, precisa De Masi. Il trasferimento ha coinciso con la chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto, di cui Be Free ha condannato la modalità, “caratterizzata da trasferimenti arbitrari e disumanizzanti, evidenziando allo stesso tempo e a differenza del vostro giornale, le carenze di un sistema di accoglienza paradossale: una struttura elefantiaca che ‘ospita’ 600 persone, in alcun modo adeguata a garantire il rispetto dei diritti umani”.

A quel punto è stata la stessa De Masi a chiamare lo Sprar di Lecce per chiedere che accogliesse Faitha, “si era creato un problema burocratico legato alla richiesta da parte della struttura Sprar che richiedeva il possesso del modello C3 (documento previsto per la richiesta di asilo non per chi, come Faitha, lo ha già ottenuto) – spiega – e la referente, comprendendo la situazione, ha dato l’ok”.

Faitha è entrata in contatto con Be Free diversi mesi fa, “da quando è stata segnalata alla nostra cooperativa dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma, che aveva rilevato l’esistenza nel suo racconto di alcuni possibili indicatori di tratta”, si legge nella lettera. La storia emersa dopo “diversi” colloqui con le operatrici di Be Free è comune a molte delle donne nigeriane seguite. “Portata in Italia con l’inganno e la falsa promessa di un lavoro e una vita migliore, Faitha si è ritrovata intrappolata nelle maglie dello sfruttamento sessuale, avendo il coraggio di affrancarsene da sola, e di far perdere le tracce ai suoi trafficanti, dal dicembre 2017: ben prima che un ente antitratta la intercettasse, ha avuto la forza di liberarsi in maniera autonoma. In seguito alle nuove e più dettagliate dichiarazioni che poi Be Free ha inviato alla Commissione, ha ottenuto lo status di rifugiata”.

Non solo, come racconta De Masi, Faitha ha anche un fidanzato, padre della bambina nata il giorno successivo al suo arrivo. “Si trova in Nord Italia, e per quanto per gli enti antitratta sia sempre molto difficile rapportarsi con i fidanzati, che siano italiani o stranieri, delle donne seguite, per motivi che si possono facilmente intuire, rispettiamo la narrazione che di questi ci fanno le donne, prime protagoniste della loro vita e che noi non vogliamo né possiamo sovradeterminare, schiacciandole in un ruolo di vittime passive e incapaci di autodeterminarsi. La bambina – continua l’operatrice – non è il frutto di una violenza, ma di una scelta che Faitha, pure nella sua giovanissima età, ha compiuto e su cui nessuno e nessuna di noi ha il diritto di avere voce in capitolo”.

De Masi spiega poi perché Faitha non fosse in una struttura protetta. “Anche questo è il frutto di una sua legittima scelta”. Le donne incontrate dalla cooperativa hanno il diritto di scegliere la procedura da seguire, se quella dell’asilo politico o quella della protezione sociale. “Abbiamo fatto più volte questa domanda a Faitha e lei chi ha risposto, con l’orgoglio negli occhi, che lei si era liberata da sola dai suoi sfruttatori, e che non aveva bisogno delle misure di sicurezza messe in campo dalle strutture protette, che possono risultare anche soffocanti, per una giovane donna che non si sente in pericolo, o che in pericolo non lo è più”. Da qui la richiesta allo Sprar, fatta non appena ottenuto lo status di rifugiata. “Forse – aggiunge De Masi – sarebbe il caso di evidenziare che, se si fossero evitate lungaggini burocratiche, Faitha non sarebbe stata trasferita nell’imminenza di un parto”.

“Non c’è bisogno di rincorrere lo scoop a tutti i costi o di strumentalizzare notizie, addirittura esibendo foto di lei e della neonata – scrive De Masi che si domanda “dov’è la tutela della sua privacy e della sua protezione, considerato che è una ex vittima di tratta?” – per far capire alle persone che per quanto il nostro sistema sia caduto in basso e sia sempre più ostile all’accoglienza delle persone migranti. Basta leggere tutti gli episodi di xenofobia che le colpiscono o gli episodi di criminalizzazione della solidarietà, sia delle associazioni sia dei migranti stessi, che con coraggio cercano di aiutarsi l’uno con l’altro nell’indifferenza generale”. La bambina di Faitha è nata il giorno successivo al suo arrivo a Lecce, “dentro di me ho pensato che Faitha aveva mantenuto la promessa che aveva fatto a se stessa, cioè quella di non partorire mentre era a Castelnuovo”, conclude De Masi. (lp/ec)

Tratto da: http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/619136/La-vera-storia-di-Faitha-Non-e-stata-cacciata-ha-scelto-il-trasferimento