Papa Francesco ai diplomatici: dialogo per portare la pace in Corea e Medio Oriente

Pope Francis leads his weekly general audience in St Peter's Square on June 28, 2017 in Vatican ANSA/Donatella Giagnori

Il Pontefice nell’ udienza concessa al corpo diplomatico presso la Santa Sede elogia l’Europa, in particolare Italia, Germania e Grecia, per l’accoglienza data ai migranti. E ribadisce: “Si rispetti lo status quo di Gerusalemme”

CITTA’ DEL VATICANO – Chiede di “sostenere ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana”, di promuovere la “pace in Siria, Iraq e Yemen”, e rinnova il suo pressante appello affinché si rispetti lo status quo di Gerusalemme: “Settant’anni di scontri rendono quanto mai urgente trovare una soluzione politica che consenta la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti. Pur tra le difficoltà, la volontà di dialogare e di riprendere i negoziati rimane la strada maestra per giungere finalmente ad una coesistenza pacifica dei due popoli”.

Così Francesco, questa mattina, nella tradizionale udienza concessa al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede: sono 183 i Paesi con cui il Vaticano ha pieni rapporti diplomatici; l’ultimo Paese a essersi aggiunto, nel 2017, è il Myanmar. A loro Francesco chiede di favorire il “disarmo”, in particolare quello nucleare, “e la riduzione del ricorso alla forza armata nella gestione degli affari internazionali”. Già Giovanni XXIII, nella Pacem in terris, disse che “giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari”.

Il Papa spazia sui problemi e le prospettive dei cinque continenti, ricordando anche i recenti viaggi apostolici e, dice, “l’incontro che ho avuto a Dacca con alcuni appartenenti al popolo Rohingya”, la minoranza islamica che a subìto pesanti violenze nell’ex Birmania e il cui nome Francesco aveva già citato durante la sua permanenza in Bangladesh lo scorso fine novembre.

Francesco elogia l’Europa, in particolare Italia, Germania e Grecia, per l’accoglienza data ai migranti. Ma, ricorda come già fece un anno fa in Svezia, che anche su questo tema è necessaria “la virtù della prudenza”: “I governanti – dice – sapranno accogliere, promuovere, proteggere e integrare, stabilendo misure pratiche, ‘nei limiti consentiti dal bene comune rettamente inteso, [per] permettere quell’inserimento’ (Pacem in terris, 57). Essi hanno una precisa responsabilità verso le proprie comunità, delle quali devono assicurare i giusti diritti e lo sviluppo armonico, per non essere come il costruttore stolto che fece male i calcoli e non riuscì a completare la torre che aveva cominciato a edificare”.

E ancora: “L’Europa deve essere fiera di questo suo patrimonio, basato su certi principi e su una visione dell’uomo che affonda le basi sulla sua storia millenaria, ispirata dalla concezione cristiana della persona umana. L’arrivo dei migranti deve spronarla a riscoprire il proprio patrimonio culturale e religioso, così che, riprendendo coscienza dei valori sui quali si è edificata, possa allo stesso tempo mantenere viva la propria tradizione e continuare ad essere un luogo accogliente, foriero di pace e di sviluppo”.

Lo scopo della diplomazia pontificia è soltanto uno: “Favorire il benessere spirituale e materiale della persona umana e la promozione del bene comune”. Nell’anno in cui ricorre il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, il Papa insiste sulla necessità di preservare la pace. “Dalle ceneri della Grande Guerra – spiega – si possono ricavare due moniti”. Il primo “è che vincere non significa mai umiliare l’avversario sconfitto. La pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore sul vinto”. Il secondo: “La pace si consolida quando le Nazioni possono confrontarsi in un clima di parità. Lo intuì un secolo fa – proprio in questa data – l’allora Presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, allorché propose l’istituzione di una associazione generale delle Nazioni intesa a promuovere per tutti gli Stati, grandi e piccoli indistintamente, mutue garanzie d’indipendenza e di integrità territoriale. Si gettarono così idealmente le basi di quella diplomazia multilaterale, che è andata acquisendo nel corso degli anni un ruolo e un’influenza crescente in seno all’intera Comunità internazionale”.

Premessa fondamentale di tale questo atteggiamento è l’affermazione della dignità di ogni persona umana, “il cui disprezzo e disconoscimento – dice ancora Francesco – portano ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”. E ancora: “D’altra parte, ‘il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo’, come afferma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. Per la Santa Sede, infatti, parlare di diritti umani significa anzitutto riproporre la centralità della dignità della persona, “in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza”.

Per Francesco, tuttavia, occorre constatare che, nel corso degli anni, soprattutto in seguito ai sommovimenti sociali del “Sessantotto”, l’interpretazione di alcuni diritti è andata progressivamente modificandosi, “così da includere una molteplicità di “nuovi diritti”, non di rado in contrapposizione tra loro”. Ciò, dice, “non ha sempre favorito la promozione di rapporti amichevoli tra le Nazioni, poiché si sono affermate nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socio-culturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare. Vi può essere quindi il rischio  paradossale, in nome degli stessi diritti umani, si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli. In pari tempo, è bene tenere presente che le tradizioni dei singoli popoli non possono essere invocate come un pretesto per tralasciare il doveroso rispetto dei diritti fondamentali enunciati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”.

“A settant’anni di distanza, duole rilevare come molti diritti fondamentali siano ancor oggi violati. Primo fra tutti quello alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana. Non sono solo la guerra o la violenza che li ledono. Nel nostro tempo ci sono forme più sottili: penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere; non voluti talvolta solo perché malati o malformati o per l’egoismo degli adulti. Penso agli anziani, anch’essi tante volte scartati, soprattutto se malati, perché ritenuti un peso. Penso alle donne, che spesso subiscono violenze e sopraffazioni anche in seno alle proprie famiglie. Penso poi a quanti sono vittime della tratta delle persone che viola la proibizione di ogni forma di schiavitù”.

Tratto da: http://www.repubblica.it/vaticano/2018/01/08/news/papa_francesco_diplomatici_pace_corea_siria_iraq_gerusalemme-186055526/