Tutte le aziende in corsa per trovare il vaccino contro il coronavirus

 

Young female scientist working with laboratory equipment in clean room

Young female scientist working with laboratory equipment in clean room

Dalla maratona delle startup ai piani delle big pharma, la ricerca di una cura contro Covid-19 si fa sentire anche sui titoli in Borsa.

Quanto siamo vicini a un vaccino per il nuovo coronavirus? E soprattutto, chi ci sta lavorando sopra? In quella che è una vera e propria corsa contro il tempo per trovare una cura, partecipano numerose aziende e centri di ricerca in tutto il mondo con tecnologie diverse e anche innovative. Una corsa che ha un impatto sulle Borse di tutto il mondo. È successo, per esempio quando è stato annunciato che sono stati sviluppati i primi vaccini in versione sperimentale e che sono stati avviati i test sugli animali.

Esistono diverse tecniche per creare un vaccino: tradizionalmente si utilizzano versioni indebolite dei virus, per esempio per i vaccini di parotite e rosolia, che addestrano il sistema immunitario riconoscere i patogeni. Nel caso dell’influenza stagionale si adoperano i principali ceppi rilevati all’inizio della stagione, disabilitandoli completamente.

Come ci si muove
Per il coronavirus si stanno adoperando approcci diversi. A seconda della scelta cambiano non solo l’efficacia nella ricerca del vaccino ma anche i tempi del suo sviluppo, offrendo potenzialmente vantaggi e svantaggi ai singoli laboratori che scelgono una particolare strada. La base per costruire vaccini rapidamente si basa su un nuovo approccio che usare il codice genetico del Covid-19 per costruire la risposta del sistema immunitario.

Si potrebbe infatti innestare parte del codice genetico del coronavirus in altri virus (completamente inoffensivi) come cavalli di Troia per ottenere l’immunità senza correre rischi. Altri ricercatori, invace stanno provando a utilizzare pezzetti di dna o rna da iniettare direttamente nel corpo, così da far produrre al corpo porzioni delle proteine espresse dal virus, tali da causare una reazione del sistema immunitario e il suo apprendimento su come difendersi da futuri contatti. Il problema, dopo la costruzione di un vaccino, è la fase di test clinico sugli esseri umani.

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I primi annunci
La prima azienda ad aver annunciato un potenziale vaccino per il coronavirus dopo 42 giorni di ricerca è una startup di Boston: Moderna, che ha superato i colossi della farmaceutica (le cosiddette big pharma) in velocità. Il primo candidato per avere un vaccino per la Sars nel 2003 richiese 20 mesi di ricerca (sebbene oggi non esista ancora un vaccino approvato per la Sars).

La startup, che ha preparato il vaccino in 25 giorni partendo dalla sequenza genomica realizzata dalla Fudan University di Shanghai e ha testato in modo analitico per 17 giorni il suo funzionamento prima di sottoporlo ai National Institutes of Health degli Stati Uniti per iniziare al fase di test clinico vero e proprio, sostiene che quando sarà pronto costerà quanto i vaccini per le malattie respiratorie. Il vaccino Prevnar 13 per la polmonite costa circa 800 dollari per quattro iniezioni.

Le fantastiche quattro
Il settore della produzione e test dei vaccini è dominato da quattro grandi aziende farmaceutiche: la britannica GlaxoSmithKline, la francese Sanofi e le internazionali Merck e Pfizer. Che, oltre alle risorse economiche, hanno anche consolidato i brevetti. Il mercato oggi, secondo la società di gestione Ab Berrnstein, vale 35 miliardi di dollari, sei volte quello che valeva 20 anni fa. I quattro grandi attori ne gestiscono l’85%.

Quando una di queste aziende arriva al successo nella produzione di un nuovo vaccino, come per esempio ha fatto nel 2006 il vaccino Gardasil per il papillomavirus (Hpv) per il gruppo farmaceutico tedesco-statunitense Merck, produce per anni un flusso di cassa enorme. Nel caso del Gardasil, più di un miliardo di euro all’anno. In questo tipo di mercato, ha detto Adrian Hill, a capo della campagna inglese contro l’ebola, “alcuni vaccini come quello per l’ebola non vengono sviluppati perché non c’è un business sufficiente a sostenerli”. Il ritorno dell’investimento di ogni singolo dollaro spero per la ricerca di un vaccino è di 44 dollari.

A differenza del vaccino realizzato da Moderna, finanziato dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (Cepi, una organizzazione non profit basata in Norvegia e finanziata da governi e fondazioni come il Wellcome Trust), la ricerca su filoni come Sars e Mers è stata fermata da interessi di mercato. Secondo Jason Schwartz, docente alla Yale School of Public Health, “se non avessimo messo da partner i programmi di ricerca per i vaccini della Sars adesso avremmo fondamenta molto più solide su cui lavorare per trovare un vaccino a questo virus, che è strettamente legato”.

Al lavoro sullo sviluppo del vaccino sono arrivati anche i big del settore farmacologico. In particolare, Sanofi e Johnson&Johnson hanno annunciato di essere al lavoro in collaborazione con il governo americano per lo studio di un vaccino. Il costo del vaccino però sarà elevato. Lo ha anticipato Alex Azar, segretario alla Salute: “Abbiamo bisogno degli investimenti del settore privato. Il controllo dei prezzi non ci farà andare avanti”. GlaxoSmithKline ha invece annunciato una partnership proprio con la Cepi.

Spazio alle Pmi
Ma la corsa al vaccino riguarda anche le piccole e medie aziende del settore. Ce ne sono almeno una dozzina che stanno lavorando, con un effetto positivo in Borsa sul proprio titolo anche semplicemente a seguito dell’annuncio della partecipazione alla ricerca. In un mese il titolo di Vir Biotechnology è cresciuto del 110%, quello di Novavax dell’87% e quello di Inovio Pharmaceuticals del 34%.

Gli analisti di mercato e le banche di investimenti, come Morgan Stanley, forniscono indicazioni su quali sono i candidati a vincere la gara per i vaccini, consigliando cioè gli investitori su quali aziende investire. Morgan Stanley aveva indicato Moderna e Regeneron (che durante l’emergenza Sars ha sviluppato una potenziale terapia in sei mesi) come i possibili vincitori. Nel caso di Moderna a quanto pare le indicazioni sono state azzeccate. Al lavoro ci sono anche Abbvie, Geovax, Gilead, J&J e Vaxvart: tutte quelle pubbliche hanno quotazioni in Borsa con il segno più davanti.

A proposito di Borsa, in Giappone il governo ha fatto sapere che pensa di raccomandare come trattamento antivirale l’Avigan (favipiravir) prodotto dal laboratorio della Toyama Chemical, che fa parte del gruppo Fujifilm. Come risultato, il titolo di Fujifilm ha fatto un balzo dell’8% in Borsa. Il farmaco, che contrasta i virus utilizzando il loro Rna come bersaglio, era stato usato come trattamento contro l’ebola e poi contro la Sars, ma senza grande successo. Invece i risultati su pazienti asintomatici o con sintomi leggeri affetti da Covid-19 parrebbero essere buoni.

Infine, ci sono i laboratori statali e privati, oltre a quelli delle università, che sono al lavoro anche su trattamenti antivirali. Per esempio Beijing Advaccine Biotechnology, l’università della British Columbia, Apeiron Biologics, Migal Research Institute, Tonix Pharmaceuticals e Clover Biopharmaceuticals, tra gli altri. E poi ci sono i primi test al riguardo. Come quello basato su remdesinivir di Gilead e quello di Favilavir, trattamento che sta andando in sperimentazione in Cina.

Tratto da: https://www.wired.it/economia/business/2020/03/06/coronavirus-vaccino-aziende/?refresh_ce=