VOTARE NO SIGNIFICA CONDANNARCI A GOVERNI TECNICI IN ETERNO

uCon la vittoria del No, il rischio che un nuovo governo di scopo sostituisca l’attuale governo politico non è l’unico aspetto preoccupante: quella dei governi tecnici rischia di diventare la regola per il futuro. Il vero “combinato disposto”, infatti, è rappresentato dal mantenimento dell’attuale Costituzione con un sistema elettorale proporzionale, che ora molti sostenitori del No sembrano preferire: una condanna per il Paese ad eterne larghe intese, governi tecnici e maggioranze eterogenee, instabili e naturalmente prive di coerenza politica.

Anche l’Economist – o almeno una parte di esso, vista la confusione sul tema referendario scoppiata in redazione – ha preso posizione a favore del No. Quello dell’Economist, però, è un No carico di sfiducia e forse di risentimento per la brutta esperienza della Brexit. Il settimanale inglese descrive gli italiani come un popolo sostanzialmente irriformabile e incline ai populismi: un governo solido, invece che un’opportunità, viene visto come un rischio – e la soluzione naturale diventa quindi l’augurio di un governo tecnico, con tanti saluti al naturale gioco democratico. Per qualcuno, avere un esecutivo solido e stabile in un Paese come il nostro costituisce improvvisamente un problema, la cui soluzione è votare No, cioè continuare con la sostanziale, perpetua, ingovernabilità. Ogni posizione è legittima, ma bisogna essere chiari: l’Economist preferisce un governo tecnico sostenuto da una maggioranza ampia e quindi necessariamente litigiosa rispetto a un governo stabile sostenuto da una maggioranza solida emersa da libere elezioni. Con questo obiettivo, certamente votare No e affossare la riforma è una scelta coerente.

Insomma, i britannici si augurano un Monti-bis, cioè un’esperienza risultata indigesta ai cittadini sotto un profilo politico e sostanzialmente fallimentare sotto un profilo di intervento pratico – se non altro rispetto alle premesse trionfalistiche da salvatori della Patria che lo avevano accompagnato. La verità è che i governicchi tecnici, per durare e mettere in pratica le riforme che tanto stanno a cuore agli editorialisti dell’Economist, devono barcamenarsi in una maggioranza instabile, dove ognuno pensa per sé. Non so se i nostri amici inglesi sanno che queste esperienze di governo tendono ad occuparsi più di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, invece che delle esigenze dei cittadini. Glielo ricordiamo noi.

Quello che ci auguriamo, per l’Italia, sono governi legittimati da una maggioranza parlamentare chiara e chiaramente eletta. Governi messi in grado di portare avanti il proprio programma e la propria visione di cosa il Paese dovrebbe essere. È anche un tema di responsabilità: sarà facile, per noi cittadini elettori, decidere se premiare alle urne quella maggioranza o cambiare, perché sarà facile ascrivere le scelte a chi le ha portate avanti. Ma se non ci piace il governo tecnico, con chi ce la possiamo prendere? È l’essenza della politica, in un paese democratico: con buona pace dell’Economist, noi il 4 dicembre votiamo Sì anche per questo.

Tratto da: http://www.bastaunsi.it/referendum-votare-no-significa-volere-governi-tecnici/