Ileana Argentin e la sua ‘Scuola a rotelle’: “La disabilità è quella campanella che non suona per tutti”.

“Ogni volta che la disabilità mi è capitata sotto gli occhi, ho distolto lo sguardo: per paura, inadeguatezza, rispetto o ipocrisia”

“Ero l’unica in carrozzina e non mi ero resa conto che per entrare dovevo fare trenta scalini. Nessuno disse a mamma che potevamo passare da dietro e così lei con l’aiuto dei bidelli mi portò su di peso. Ci aiutò anche Enrico Berlinguer, che era lì ad accompagnare Bianca, sua figlia, fu l’unico dei genitori ad aiutarmi”.

La vergogna di sentirsi diversi, la paura di non essere accettati, la sfida giornaliera per vivere la quotidianità come tutti: c’è tutto questo nelle giornate di un disabile, ma la narrazione della disabilità può essere anche diversa da quella che ci si aspetta, può mostrare da un punto di vista altro la situazione e persino strappare più di qualche risata. È quello che riescono a fare Ileana Argentin e Paolo Marcacci in Scuola a rotelle, che – con un piglio scanzonato e a tratti divertente – mostrano quello che dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti: la disabilità incide nel profondo, ma può essere una risorsa per vedere il mondo diversamente.

La parola bandita da questo libro, del resto, è autocommiserazione: perché la Argentin – che è affetta sin dalla nascita dall’atrofia muscolare – le difficoltà del quotidiano le conosce bene, ma preferisce la lotta contro le barriere al pianto fine a se stesso. E qui insieme all’amico Paolo Maracacci, docente di Lettere e giornalista, intreccia un pregevole tessuto narrativo a due voci.

Scuola Rotelle è anche un libro sulla forza dei rapporti umani come l’amicizia di Ileana con Chiara, che a soli 11 anni ” già faceva tendenza” e riusciva a farle dimenticare la disabilità nei pomeriggi trascorsi insieme. Oppure la bidella Adele, unica figura d’appiglio per la madre di Ileana in una scuola molto diversa da quella di oggi e in cui ancora non si sentiva parlare di “Bes e Dsa”. Sigle con le quali invece Maracacci si trova a dover fare i conti in ogni consiglio di classe. Termini che sono il segno evidente della difficoltà che la scuola ha a trovare le parole adatte per parlare di disabilità e del labile confine tra ipocrisia e rispetto.

La Argentin, dal 2008 impegnata in politica con il PD, ha raccontato cosa ha voluto comunicare col suo memoir “suonato” a 4 mani: “[Il libro] racchiude due mondi, quello della disabilità e quello dell’istruzione, che sanno amarsi ma ancora tra troppe difficoltà” ha spiegato l’autrice. “La scuola per me ha rappresentato sì barriere – fisiche e culturali – ma anche gioia, condivisione, amicizia e affetti”.

Grazie al prof Marcacci, invece, si stampano sulla pagina tutte le difficoltà di un insegnante che cerca di rendere il meno difficile possibile l’esperienza scolastica a chi è diversamente abile e – oltre alla preoccupazione per la pagella e i compiti da fare – si trova a dover affrontare sfide ben più grandi. Perché anche i docenti hanno bisogno di essere accompagnati e istruiti, anche i docenti hanno paura. Come scrive il coautore, infatti, “[dalla] disabilità, […] ogni volta che fortuitamente mi è capitata sotto gli occhi, ho distolto lo sguardo: per paura, inadeguatezza, per una molesta forma di rispetto o, meglio, di quello che fino a poco tempo fa credevo degno di essere definito rispetto. Invece era solo una delle tante forme di ipocrisia dietro la quali ci nascondiamo”.

Tratto da: http://www.huffingtonpost.it/2017/05/16/ileana-argentin-e-la-sua-scuola-a-rotelle-la-disabilita-e-qu_a_22093581/Scuola_A_Rotelle